Faceva molto freddo quella mattina del 24 febbraio ed anche il sole di Napoli si era nascosto per non assistere a tanto dolore.

Nino Taranto ci aveva lasciato alle prime ore dell’alba del giorno precedente.

Si era spento, nella casa di Parco Grifeo e nel tepore della Sua famiglia, a causa di un male incurabile.

La notizia aveva colto Napoli di sorpresa, giacchè il Commendatore non aveva voluto far trapelare nulla in merito alle sue condizioni di salute per non danneggiare gli interessi economici del teatro Sannazaro, con cui aveva sottoscritto un contratto e dove, in cartellone, si giustificava la Sua assenza con la dicitura “a causa di una lieve indisposizione, oggi Nino Taranto non prenderà parte alla recita”.

Ogni sera il fratello Carlo andava a relazionarlo su come era andato lo spettacolo e Lui lo rassicurava dicendo che sarebbe tornato a breve, non appena si fosse sentito un po’ meglio.

Lottava “come aveva sempre fatto nelle situazioni più difficili della sua vita, ma questa volta in negativo, non per guarire quanto per assicurarsi un’uscita dalla scena all’altezza della sua dignità” scrive il figlio Raimondo.

Non tornò mai più in palcoscenico.

“Figliu mio, nu te preoccupa’, nun t’avvili’, pur’ a tte te facimmo ‘e stess’onori”

gli aveva gridato una donna, vedendolo affranto ai funerali di Totò.

Ed invero in quella fredda mattina di febbraio, una folla immensa era presente dentro e fuori la chiesa di Piazza Trieste e Trento, difronte al Teatro San Carlo. Una folla fatta di grandi Artisti, di familiari e di gente comune che davano l’ultimo saluto al Commendatore.

Come nella “Festa di Montevergine” di Viviani, in quella massa si potevano riconoscere i vari “tipi umani”, per cui c’erano sfoggi di impropria eleganza, abiti dimessi, sorrisi a favore di telecamera, atteggiamenti composti, dolore e disperazione sinceri.

Sulla bara troneggiava la “Paglietta” e, quando il corteo funebre sostò innanzi il Teatro Sannazaro, Sua ultima casa artistica, l’applauso fu talmente fragoroso che il sole, incuriosito, si affaccio’ splendente su Napoli, su quella bella Napoli che piangeva suo Figlio, che non si rassegnava e cercava di tenerselo ancora stretto in petto, ma………. La “Paglietta a tre punte” aveva messo le ali ed era volata via.

Maria Letizia Loffreda Mancinelli

Condividi